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I fondi del Piano Mattei e le sue criticità

 

Senato della repubblica - Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 ITIl Parlamento ha ancora una decina di giorni per completare l’esame del Piano Mattei, la strategia italiana da 5,5 miliardi che punta a rafforzare la cooperazione con il continente africano. Se da un lato lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri trasmesso ai parlamentari solo a metà luglio fa chiarezza su molti aspetti, dall’altro continuano a permanere rilevanti criticità, come emerso anche dalle diverse audizioni condotte finora.

Non solo Piano Mattei: l'Italia punta a diventare l'hub energetico del Mediterraneo

In linea con quanto previsto dal DL 161/2023, Camera e Senato hanno 30 giorni di tempo - cioè fino al 17 agosto - per esprimere il proprio parere sullo schema di DPCM che adotta il Piano Mattei.

Nonostante la pubblicazione del documento aiuti sicuramente ad avere maggiore contezza su cosa sarà finanziato davvero dal Piano Mattei, diversi analisti ne sottolineano comunque una certa genericità - soprattutto in merito all'individuazione dei progetti - che rischia di essere controproducente rispetto alle finalità ultime del Piano: cioè l’avvio di quel partenariato alla pari tra Italia e Paesi africani.   

La filosofia del Piano Mattei e alcune sue criticità

Lanciato a fine gennaio 2024 nel corso del Summit Italia-Africa, scelto come il primo appuntamento internazionale del G7 ospitato dall’Italia, il Piano Mattei è basato su una serie di principi chiave - rimarcati più volte dai leader italiani - su cui instaurare le relazioni con i paesi africani: rapporto alla pari; programmi strategici di ampio respiro che non disperdano le risorse in micro-progettualità; approccio win-win che permetta di assicurare la tutela degli interessi sia africani che italiani ed europei; coinvolgimento del settore privato; condivisione delle progettualità da realizzare.

Principi che nella teoria mettono tutti d’accordo ma che già a gennaio 2024 avevano già suscitato qualche perplessità sul fronte della pratica da parte di alcuni dei partner, come il presidente della Commissione dell’Unione africana (UA), Moussa Faki. Durante il suo intervento, infatti, Faki ha detto che, pur confermando “l’apprezzamento” dei paesi africani verso il “cambio di paradigma” nei rapporti con l’Africa spinto dall’Italia e dall’UE, “avrebbe auspicato di essere consultato” sul Piano Mattei prima della sua presentazione. Un cambio di paradigma, dunque, che va misurato sui fatti concreti e non solo sulla base dei principi programmatici. “Desidero insistere qui sulla necessità di passare dalle parole ai fatti: capirete bene che non ci possiamo più accontentare di semplici promesse che spesso non sono mantenute”, ha infatti aggiunto il presidente dell’UA nel corso del suo intervento al Summit.

A distanza di sei mesi dal suo lancio, diversi analisti continuano a sollevare alcune criticità, e questo nonostante la pubblicazione in queste settimane del documento programmatico in esame al Parlamento.

Un’analisi interessante sul tema è, ad esempio, quella del Think Tank ECCO, presentata anche in forma di memoria al Parlamento. Secondo questo centro studi, il Piano Mattei continua anzitutto ad avere un carattere frammentato, per cui è difficile ricondurre i singoli progetti ad una più ampia cornice strategica. In tale contesto è complicato valutare l'effettiva capacità dei progetti di creare quel “valore aggiunto” per le popolazioni locali essenziale perché si abbia relazione paritaria e si superi quel “modello relazionale basato sul dualismo tra chi detiene le risorse (i Paesi africani) e chi, come l’Italia e altri Paesi europei, ha sinora sostanzialmente mirato ad appropriarsene, e detiene i fondi e le tecnologie per trasformarle”.

La seconda criticità è rappresentata da una serie di lacune in materia di trasparenza e chiarezza per quanto concerne la selezione e la rendicontazione dei progetti. “Attualmente, la selezione dei progetti inclusi nel DPCM solleva interrogativi significativi”, scrive infatti ECCO. “La mancanza di trasparenza del processo di selezione dei progetti e della pubblicazione della valutazione d’impatto, inclusa una valutazione di alternative più sostenibili, rischia di esporre questa scelta all’influenza di interessi precostituiti, di imprese o governi di Paesi terzi, piuttosto che essere dettata da una visione strategica d’impatto e un processo inclusivo e trasparente in linea con i rispettivi interessi pubblici. Questa ambiguità può minare la fiducia pubblica e internazionale nel Piano, compromettendo il suo potenziale di contribuire realmente allo sviluppo sostenibile in Africa”.

In tale contesto, il Think Tank sottolinea l'importanza, per vari motivi, di una rendicontazione dettagliata. “Primo, può aiutare a chiarire il processo decisionale alla base della selezione dei progetti, fornendo un quadro chiaro su come e perché determinate iniziative siano state privilegiate rispetto ad altre. In secondo luogo, offre un mezzo per valutare l’efficacia dei progetti in termini di impatti economici, sociali e ambientali, sia per i Paesi africani sia per l’Italia. Non da ultimo, la trasparenza nella gestione dei fondi pubblici è essenziale per prevenire possibili conflitti di interesse e garantire che i finanziamenti siano destinati a progetti che rispettino rigorosi criteri di sostenibilità e inclusività”.

Infine, il think Tank si sofferma sul ruolo rivestito dal settore energetico e da quello estrattivo all’interno del Piano. Da un lato, a pesare è soprattutto “la mancanza di analisi basate su dati e scenari e di chiarezza rispetto all’effettivo ruolo del gas” che “mette in luce ancora una volta la necessità di maggiore trasparenza rispetto agli interessi che il Governo sta perseguendo in Africa – soprattutto in un ambito, quello fossile, che ancora oggi costituisce il cuore del partenariato italo-africano, e considerando che la retorica dell’Italia come “hub energetico” ha storicamente conciso con “hub del gas””. A preoccupare il Think Tank è, insomma, l’ipotesi di un Piano che possa essere profondamente incentrato sulle importazioni di gas naturale liquefatto (GNL), in un contesto in cui molti studi confermano che entro il 2050 il valore di tali importazioni potrebbe scendere del 60%, con gravi conseguenze per le economie (già fragili) dei paesi produttori. A questo si aggiunge il fatto che è stato “stimato che i nuovi parchi solari ed eolici con batterie di accumulo sono già competitivi e saranno presto più economici della maggior parte degli impianti a gas”.

Dall’altro ECCO si focalizza sulle materie prime critiche (Critical Raw Materials – CRM). Su questo fronte sarebbe importante che il Piano Mattei contribuisse allo sviluppo di un’industria estrattiva africana in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile in ambito di diritti umani, standard ambientali e lavorativi e di governance del settore. 

Per far si che ciò accada, il Piano dovrebbe però disporre ad esempio di “valutazioni ex-ante che misurino gli impatti socio economici sulla popolazione e sull’economia locale, rispetto anche ai piani di sviluppo nazionale elaborati dai singoli Paesi”, nonché di “un’analisi delle esternalità rispetto a un progetto alternativo per evitare il rischio di assecondare interessi costituiti che non rispondano agli obiettivi del Piano”. Per tutti i progetti dovrebbe infine essere garantito un monitoraggio e una valutazione ex-post, meglio se effettuate da un ente terzo ed indipendente. 

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Le risorse del Piano Mattei

Per quanto concerne il budget, il Piano Mattei può contare su una dotazione iniziale di oltre 5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie, dei quali circa 3 miliardi verranno destinati dal Fondo italiano per il clima, e circa 2,5 dalle risorse della cooperazione allo sviluppo. “Certo non basta”, aveva spiegato la premier al Summit di gennaio 2024 a Roma, illustrando alcuni dei percorsi che verranno intrapresi per affrontare il tema. 

Da un lato, il governo punta a “coinvolgere le Istituzioni finanziarie internazionali, le Banche Multilaterali di Sviluppo, l’Unione Europea e altri Stati donatori, che già hanno dichiarato la loro disponibilità a sostenere progetti comuni”. Dall’altro Meloni ha annunciato “l’intenzione di creare entro l’anno un nuovo strumento finanziario, assieme a Cassa Depositi e Prestiti, per agevolare gli investimenti del settore privato nei progetti del Piano Mattei”.

Queste erano state finora le informazioni disponibili, in buona sostanza, sulla dotazione del Piano Mattei. Maggiori informazioni sono arrivate il 17 luglio, quando a Camera e Senato è stato trasmesso lo “Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di adozione del Piano strategico Italia-Africa: Piano Mattei” al fine di ricevere il parere delle commissioni parlamentari competenti. 

Nelle sue 100 pagine, emergono con più dettaglio i profili dei fondi e delle fonti di finanziamento che daranno benzina al Piano. Come già accennato, da un lato vi sono circa 3 miliardi del Fondo italiano per il clima (FIC). Dall’altro compaiono 2,5 miliardi dei fondi della Cooperazione allo sviluppo.

Il Governo fa inoltre presente che il Piano Mattei potrà contare sulle seguenti ulteriori risorse, il cui contributo - sottolineano però dal Servizio studi “Ufficio politica estera e difesa” del Senato - non viene stimato nello schema di DPCM. In breve si tratta di:

  • risorse dell'Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) destinate all'Africa sia in forma di dono, sia in forma di linee di crediti concessionali sovrani;
  • risorse messe a disposizione da Istituzioni Finanziarie Internazionali e Banche Multilaterali di Sviluppo;
  • partecipazione a programmi finanziati nell'ambito del Global Gateway Africa-Europe dell'UE e altre iniziative europee (Connecting Europe Facility; Horizon Europe), nonché tripartite (es. Piano di cooperazione tripartito per l'Africa tra UE, Unione Africana e ONU)
  • compartecipazione finanziaria di altri Stati donatori (Stati membri UE, alcuni Stati del Golfo hanno già manifestato interesse, Stati del G7 o del G20). Tra questi, gli Stati Uniti hanno avviato una collaborazione con l'allocazione di risorse finanziarie per specifici progetti nel quadro della Partnership for Global lnfrastructure and lnvestment (PGII);
  • ulteriori risorse finanziarie provenienti da Fondi pubblici nazionali già operativi;
  • parte delle risorse finanziarie impiegate dalla Cassa Depositi e Prestiti;
  • operazioni di conversione del debito ("debt for development swap"), in particolare quelle bilaterali di cui all'art. 5 legge n. 209/2000;
  • ulteriori fondi e piattaforme di co-investimento, in fase di costituzione.

Sempre seguendo l’analisi effettuata dal servizio studi del Senato, vale la pena soffermarsi su alcuni dei principali strumenti identificati dal governo per finanziare il Piano Mattei.

Da un lato, come detto, abbiamo il Fondo italiano per il clima. Si tratta di un fondo rotativo gestito da Cassa depositi e prestiti (CDP) destinato al finanziamento di interventi a favore di soggetti privati e pubblici, volti a contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito degli accordi internazionali sul clima e sulla tutela ambientale. Tra le altre cose, il FIC può intervenire attraverso: 

  • l'assunzione di capitale di rischio, mediante fondi di investimento o di debito o fondi di fondi, o altri organismi o schemi di investimento, anche in forma subordinata se l'iniziativa è promossa o partecipata da istituzioni finanziarie di sviluppo bilaterali e multilaterali o da istituti nazionali di promozione; 
  • la concessione di finanziamenti in modalità diretta o indiretta mediante istituzioni finanziarie, anche in forma subordinata se effettuati mediante istituzioni finanziarie europee, multilaterali e sovranazionali, istituti nazionali di promozione o fondi multilaterali di sviluppo; 
  • il rilascio di garanzie, anche di portafoglio, su esposizioni di istituzioni finanziarie, incluse istituzioni finanziarie europee, multilaterali e sovranazionali, nonché altri soggetti terzi autorizzati all'esercizio del credito, di fondi multilaterali di sviluppo e di fondi promossi o partecipati da istituzioni finanziarie di sviluppo bilaterali e multilaterali e da istituti nazionali di promozione.

E proprio sul FIC dovrebbero arrivare nel prossimo futuro ulteriori informazioni. Il comma 1 dell’articolo 10 del DL 89/2024 attualmente in fase di conversione al Senato, demanda infatti ad un DPCM la determinazione dell’orientamento strategico e delle priorità di investimento delle risorse del Fondo italiano per il clima, che deve essere destinato – anche in parte – a supporto delle finalità e degli obiettivi del Piano Mattei.  

Un po' nebulosa è anche la fotografia dei fondi della Cooperazione allo sviluppo. Sul tema, il Servizio studi del Senato scrive ad esempio che “potrebbe risultare utile chiarire se si intenda fare riferimento alle risorse allocate sullo stato di previsione del MAECI”. Ciò che è certo è che, anche quando si parla di fondi della Cooperazione, il ruolo preminente è quello di CDP, autorizzata da ormai diversi anni ad assolvere ai compiti di istituzione finanziaria per la Cooperazione internazionale allo sviluppo (c.d. braccio finanziario della cooperazione), nonché di banca di sviluppo, con facoltà di operare in tutti i Paesi in via di sviluppo. Dal 1° gennaio 2016 CDP effettivamente gestisce il più importante strumento della cooperazione allo sviluppo, che è il Fondo rotativo per la Cooperazione allo sviluppo (istituito dall'art. 26 della legge 227/1977), che prevede essenzialmente finanziamenti a Stati sovrani (settore pubblico sovrano).

Con riferimento, poi, agli strumenti finanziari, lo schema di DPCM passa in rassegna le forme di sostegno al settore pubblico e a quello privato.

Per quanto concerne i primi, il Governo reputa essenziale la collaborazione strategica con le Banche Multilaterali di Sviluppo. Esse, infatti, rappresentano una delle più importanti fonti di finanziamento in favore di investimenti infrastrutturali su larga scala nel Continente, con circa 55 miliardi di euro di impegni assunti nel corso del 2023. Tra esse, quella più importante è la Banca africana di sviluppo con cui si è negoziata l'apertura di: un “Fondo multi-donatori aperto al contributo sovrano di terzi” (“Mattei Plan and Rome Process Financing Facility”, in inglese) e un “Fondo italiano bilaterale per l'erogazione di crediti concessionali e doni”.

Nel primo caso (il “Fondo multi-donatori aperto al contributo sovrano di terzi”) il contributo proviene dal Fondo Italiano per il Clima, è gestito da CDP e sarà in gran parte destinato a crediti concessionali per il supporto finanziario degli investimenti e per la parte restante a doni a supporto sia di investimenti che di attività di assistenza tecnica. Il Fondo avrà una durata di 55,5 anni a partire dalla sua istituzione, di cui i primi 5 anni costituiranno il periodo di investimento durante il quale la Banca Africana dovrà impegnare tutte le risorse del fondo in un portafoglio di progetti idonei.

Il Fondo bilaterale si concentrerà, invece, sull'erogazione di crediti concessionali e doni per progetti da realizzare nei settori strategici del Piano Mattei che, in considerazione della loro dimensione e complessità, non necessitano del coinvolgimento di altri investitori. In particolare il contributo italiano sarà di due tipi: un contributo sotto forma di credito, da utilizzare per i crediti concessionali, e un contributo sotto forma di sovvenzione, da utilizzare per i doni finalizzati al supporto sia di investimenti che di attività di assistenza tecnica. In questo caso il Fondo avrà una durata di 30 anni a partire dalla sua istituzione, di cui i primi 5 anni costituiranno il periodo di investimento durante il quale la Banca Africana di Sviluppo dovrà impegnare tutte le risorse del fondo in un portafoglio di progetti idonei.

Sul fronte degli investimenti verso interlocutori privati, invece, il Governo fa presente che “si è curata la predisposizione di due strumenti differenziati a seconda della natura, diretta o indiretta, del sostegno finanziario ai progetti”. L'obiettivo dei due strumenti è quello di sostenere, direttamente e indirettamente, le imprese e le società progetto locali attraverso investimenti in capitale di rischio, finanziamenti e interventi di assistenza tecnica, assicurando la sostenibilità finanziaria delle operazioni, coinvolgendo gli stakeholder istituzionali e privati locali e catalizzando le risorse di altri investitori internazionali.

Con riferimento agli interventi diretti, l'ipotesi in corso di valutazione da parte del Governo consiste nella costituzione di un plafond ad hoc ("Plafond Africa"), il cui intervento potrà avvenire sia mediante strumenti di debito senior (finanziamenti su base corporate e project finance, emissioni obbligazionarie, ecc…), sia mediante strumenti subordinati. Le operazioni assunte nell'ambito di tale plafond beneficeranno di una garanzia pubblica, il cui rilascio sarà approvato operazione per operazione da un apposito comitato tecnico. 

Con riferimento invece agli interventi indiretti - ovvero attraverso altri fondi di investimento - questi, ad avviso del Governo, saranno supportati mediante il "Growth and Resilience platform for Africa" (cd. “GRAf”), una piattaforma finalizzata a sostenere il settore privato degli Stati partner in grado di moltiplicare il volume delle risorse a disposizione, aggregando capitali da altri investitori e intervenendo in fondi già operativi nel Continente africano.

A questi si aggiungono infine le iniziative promosse dal SIMEST a valere sul Fondo 394/81, operative dal 25 luglio 2024.

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I cinque pilastri del Piano Mattei e i suoi progetti pilota

Passando invece alle priorità tematiche, il Piano Mattei prevede cinque pilastri (istruzione e formazione, agricoltura, salute, energia e acqua) e una serie di interventi da attuare, per iniziare, in nove Paesi africani, “con l’obiettivo di estendere progressivamente questa iniziativa seguendo una logica incrementale”, aveva spiegato Meloni al Summit di gennaio 2024.

Per quanto riguarda l'istruzione e la formazione professionale, ad esempio, in Costa d'Avorio il Piano prevede progetti per scuole primarie e secondarie che saranno riqualificate a livello infrastrutturale, includendo l'alimentazione energetica tramite pannelli fotovoltaici e arricchite di nuovi arredi, anche ai fini dell'erogazione dei pasti agli studenti. Previsti anche la fornitura di materiale didattico, un programma di sostegno alla formazione dei docenti e collaborazioni strutturate con gli istituti italiani. 

In Algeria, invece, il Piano sosterrà la creazione di un Centro di ricerca e formazione professionale focalizzato sulle scienze applicate, comprese quelle agricole, a cui potranno essere aggiunte iniziative di formazione-lavoro destinate a giovani algerini, sia per un loro inserimento nel mercato del lavoro locale (anche in aziende italiane attive in loco), sia per un loro trasferimento (temporaneo o definitivo) in Italia.

Fronte salute, invece, il Piano prevede ad esempio la realizzazione di un progetto di telemedicina in Marocco per la diffusione di nuove tecnologie mediche per monitorare ed assistere le persone fragili con difficoltà di accesso ai centri clinici. In Costa d'Avorio, invece, sì prevede l'avvio di progetti per la riabilitazione delle infrastrutture di base (compresa la fornitura di acqua potabile) e per il potenziamento delle attrezzature di alcune strutture sanitarie della Costa d'Avorio. A queste si aggiungono: campagne di vaccinazione e prevenzione/screening periodici; programmi di formazione del personale sanitario; iniziative per il miglioramento delle catene di approvvigionamento e distribuzione dei farmaci. 

Altro settore d’intervento sarà l’agricoltura perché se è vero che l’Africa detiene il 60% delle terre coltivabili, e anche vero che quelle terre sono spesso purtroppo inutilizzate, e noi dobbiamo fare in modo che la tecnologia contribuisca a renderle coltivabili perché possano dare frutti, aveva spiegato Meloni durante il Summit di Roma. In tale contesto, il Piano prevede ad esempio lo sviluppo, in Algeria, del progetto di "agricoltura desertica", già avviato dalla società Bonifiche Ferraresi, con il supporto finanziario di SIMEST. Oppure la realizzazione di un centro di formazione per agricoltori in Mozambico, con programmi mirati all'acquisizione delle migliori tecniche per orticoltura, allevamento e agricoltura, supportando inoltre gli agricoltori con la distribuzione di kit e sementi.

Per quanto concerne invece il pilastro “acqua”, il Piano Mattei prevede ad esempio un progetto pilota in Etiopia di recupero ambientale e sviluppo sostenibile dell'area del lago Boye, mediante interventi di risanamento delle acque e di riqualificazione delle aree verdi circostanti, accompagnati da appositi corsi di formazione. Nella Repubblica del Congo, invece, il Piano sosterrà un progetto per il miglioramento dell'accesso all'acqua per le popolazioni locali, elaborando azioni complementari rispetto all'intervento "Hinda", promosso da ENI, che ha già visto la costruzione/riabilitazione di 31 pozzi, di cui 27 alimentati da pannelli fotovoltaici.

Infine, arriviamo all’ultimo pilastro del Piano Mattei, “certamente non ultimo per importanza”, aveva sottolineato Meloni a gennaio, quello dedicato al nesso clima-energia e alle infrastrutture collegate. “Noi siamo sempre stati convinti che l’Italia abbia tutte le carte in regola per diventare l’hub naturale di approvvigionamento energetico per l’intera Europa. È un obiettivo che possiamo raggiungere se usiamo l’energia come chiave di sviluppo per tutti. L’interesse che persegue l’Italia è aiutare le Nazioni africane interessate a produrre energia sufficiente alle proprie esigenze e ad esportare in Europa la parte in eccesso, mettendo insieme due necessità”, aveva spiegato la premier. Ebbene, su questo fronte i progetti previsti sono diversi.

Ad esempio, in Kenya il Piano Mattei prevede un progetto di sostegno allo sviluppo dei biocarburanti, basato sulla produzione di olio vegetale a partire da materie prime coltivate su terreni degradati, inquinati o abbandonati, da colture di secondo raccolto e valorizzando rifiuti e scarti agro-industriali. “Si prevedono importanti benefici sulla sicurezza alimentare, anche perché le colture interessate non sono in competizione con la filiera agricola e contribuiscono a rallentare il degrado del suolo”, si legge nel dossier sul DPCM. La fase di produzione verrà demandata agli agricoltori locali, mentre Eni potrà gestire la lavorazione dei semi oleaginosi, oltre che raccogliere e trattare rifiuti e residui agricoli.  

In Congo - che rappresenta un interlocutore di primo piano per l'Italia, soprattutto in ambito energetico - dopo la firma dell'accordo tripartito tra ENI, governo italiano e autorità congolesi, si prevede la fornitura di quantitativi crescenti di gas fino a 4,5 miliardi di metri cubi all'anno, a partire dal 2023 e fino al 2026.

Cruciale è anche il progetto ELMED che prevede l’interconnessione elettrica di 600 MW tra Italia e Tunisia per la creazione di un collegamento tra i sistemi energetici europeo e nordafricano. Nella stessa area, inoltre, la cooperazione in materia di energia verrà rafforzata anche attraverso la realizzazione di una infrastruttura di trasporto di idrogeno che colleghi la Tunisia e, in prospettiva, l'Algeria con il continente europeo (SoutH2Corridor).

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La governance del Piano Mattei

Per quanto concerne la governance, la gestione del Piano è di fatto in mano a Palazzo Chigi. L’articolo 2 del DL 161/2023 prevede infatti la nascita di una Cabina di regia per il Piano Mattei, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composta dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con funzioni di vicepresidente, e dagli altri Ministri, cui si aggiungono il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, il direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), il presidente dell’ICE e rappresentanti di Cassa depositi e prestiti, SACE e SIMEST. Fanno parte della cabina anche rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica, di imprese industriali, della Conferenza dei rettori delle università italiane e del sistema dell’università e della ricerca, oltre che esponenti della società civile e del terzo settore, rappresentanti di enti pubblici o privati ed esperti nelle materie trattate.

Alla cabina di regia si affianca poi una struttura operativa, la cosiddetta struttura di missione, che avrà soprattutto il compito di supportare il Presidente del Consiglio nell’esercizio delle “funzioni di indirizzo e coordinamento dell’azione strategica del Governo relativamente all’attuazione del Piano Mattei e ai suoi aggiornamenti”.

Per quanto concerne invece gli ambiti di intervento e le priorità di azione, il DL 161/2023 elenca 17 settori: 

  1. cooperazione allo sviluppo;
  2. promozione delle esportazioni e degli investimenti;
  3. istruzione;
  4. formazione superiore e formazione professionale;
  5. ricerca e innovazione;
  6. salute;
  7. agricoltura e sicurezza alimentare;
  8. approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche;
  9. tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici;
  10. ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture, anche digitali; 
  11. partenariato nell’aerospazio (settore aggiunto in sede referente);
  12. valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico, anche nell’ambito delle fonti rinnovabili, dell’economia circolare e del riciclo (quest’ultimo inciso aggiunto in sede referente);
  13. sostegno all’imprenditoria, in particolare a quella giovanile e femminile;
  14. promozione dell’occupazione;
  15. turismo;
  16. cultura;
  17. prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare e gestione dei flussi migratori legali.

Il Piano Mattei durerà 4 anni e potrà essere aggiornato anche prima della scadenza.

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I documenti del Piano Mattei

Schema di DPCM di adozione del Piano strategico Italia-Africa: Piano Mattei

Decreto 161/2023: Disposizioni urgenti per il «Piano Mattei» per lo sviluppo in Stati del Continente africano

Il documento con i cinque pilastri del Piano Mattei

Il programma del Summit Italia-Africa del 28 e 29 gennaio 2024

Senato della repubblica - Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

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