FASI: Funding Aid Strategies Investments

Pausa sui dazi, ma l’Italia lavora a piano da 25 miliardi con fondi PNRR e Coesione

 

Photocredit: Palazzo Chigi - Immagine messa a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 ITLa Commissione europea ha formalizzato la sospensione, per 90 giorni, dei controdazi che sarebbero scattati oggi, alla luce della pausa sui dazi decisa a sorpresa il 9 aprile da Donald Trump. Intanto il governo italiano è al lavoro su un piano di sostegno alle imprese, puntando ad utilizzare le riprogrammazioni in arrivo di PNRR e Coesione, oltre ai 7 miliardi del Fondo sociale per il clima. Tra le strade per rispondere ai dazi e rilanciare la competitività europea, Roma indica anche lo smantellamento di fatto del Green deal.

Foti: caccia a 12 miliardi di progetti PNRR fantasma. Niente proroghe, ma trasferimenti sulla Coesione

E’ un quadro in costante evoluzione, quello che riguarda la partita sui dazi tornati centrali nelle relazioni internazionali dopo la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca. A riprova, l’annuncio di Trump arrivato il 9 aprile sulla sospensione per 90 giorni dei dazi reciproci (tranne che verso la Cina), che ha colto tutti di sorpresa inclusi - da quanto si apprende - i suoi stessi collaboratori. Decisione cui Bruxelles ha risposto ieri formalizzando a sua volta la sospensione dei controdazi negli confronti degli USA per "dare spazio ai negoziati".

La risposta europea ai dazi di Trump

La sospensione dei dazi USA era stata commentata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, parlando di “un passo importante verso la stabilizzazione dell'economia globale”. La numero uno dell’Esecutivo UE ha però sottolineato anche che “allo stesso tempo”, da un lato, “l'Europa continua a concentrarsi sulla diversificazione dei suoi partenariati commerciali, impegnandosi con paesi che rappresentano l'87% del commercio globale e condividono il nostro impegno per un libero e aperto scambio di beni, servizi e idee”. Dall’altro, Bruxelles sta “intensificando il lavoro per eliminare le barriere nel nostro mercato unico” che “in tempi di incertezza, (...) è la nostra ancora di stabilità e resilienza”.

Davanti ad uno scenario che rimane del tutto magmatico, infatti, la Commissione europea continua di fatto a lavorare su tre fronti. Il Piano A restano i negoziati con Washington per arrivare ad una de-escalation stabile della situazione, da raggiungersi anche tramite la proposta “zero per zero” che prevede l’azzeramento reciproco dei dazi esistenti su una serie di prodotti industriali. Si tratta della posizione fortemente caldeggiata anche dall’Italia e che è alla base della decisione di non rispondere immediatamente con contro dazi.

Sul tavolo, però, vi è anche un Piano B che prevede una risposta muscolare dell’UE, qualora i negoziati fallissero, che passa per l'imposizione di controdazi europei sui prodotti americani finiti nella lista votata da tutti i paesi membri, con l’eccezione dell’Ungheria di Viktor Orban. 

E infine vi è un’agenda diplomatica particolarmente attiva, che in questi mesi sta cercando di tessere e rinsaldare alleanze capaci di aprire nuovi mercati all’export europeo (come testimoniano i numerosi viaggi di von der Leyen, come ad esempio quello in Sudafrica), incluso un tentativo di normalizzazione delle relazioni Europa-Cina.

L’alert del farmaceutico all’UE: cambiare, o rischio esodo verso gli USA

I dazi e la strategia del governo italiano

In tale contesto si inserisce la strategia che il governo italiano sta mettendo a punto, illustrata dalla premier Giorgia Meloni l’8 aprile alle categorie e poi ribadita il 9 aprile dal ministro per le imprese ed il made in Italy, Adolfo Urso, durante il Question Time alla Camera.

Da un lato, si tratta di un Piano da 25 miliardi di euro con cui mettere in campo interventi a sostegno delle imprese, in particolar modo quelle più colpite dai dazi. Un’operazione evidentemente non facile, alla luce dei continui colpi di scena messi in atto da Trump che rendono difficile qualsiasi tipo di programmazione. Le risorse su cui il governo ha messo gli occhi sarebbero quelle del PNRR e della Politica di Coesione - entrambe indirizzati verso una rimodulazione - nonché i 7 miliardi del Fondo sociale per il clima.

Dall’altro lato, però, il governo italiano intende sollecitare Bruxelles a lavorare anche su norme e burocrazia, puntando di fatto ad un annacquamento - se non ad un vero e proprio smantellamento - del Green deal europeo.

Sullo sfondo resta la sospensione del Patto di stabilità ipotizzata dal ministro dell'economia, Giancarlo Giorgetti durante il Forum Ambrosetti del 6 aprile. Per ora “una provocazione”, come l’ha definita lo stesso ministro, tanto che a Bruxelles “la discussione non è ancora iniziata", ha dichiarato all’ANSA un funzionario europeo, spiegando come “sia un po' presto per iniziare a discutere la clausola di salvaguardia generale" e ricordando “che la clausola di salvaguardia generale consente più flessibilità nello spazio fiscale, non crea spazio fiscale che non c'è".

Sui dazi, in arrivo i fondi PNRR e Coesione

Per quanto concerne le risorse, il Piano a sostegno delle filiere colpite dai dazi che il governo sta iniziando a costruire dovrebbe valere 25 miliardi di euro. Un importo ribadito anche ieri da Urso alla Camera. Come già accennato, si tratta di risorse derivanti dalla rimodulazione del PNRR e dei Programmi della Coesione, oltre dalla quota del Fondo sociale per il clima destinata al nostro Paese.

Per quanto concerne il PNRR, la cifra che ormai circola apertamente è quella di 14 miliardi provenienti dalla nuova modifica del Piano su cui, in queste settimane, è al lavoro il ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e per il PNRR, Tommaso Foti, di concerto con i ministeri titolari delle misure che sono in affanno e che rischiano di "bucare" la deadline di giugno 2026. Fondi che “possono essere rimodulati per sostenere l'occupazione e aumentare l'efficienza della produttività”, aveva spiegato l’8 aprile Giorgia Meloni alle imprese riunite a Palazzo Chigi.

Altri 11 miliardi dovrebbero poi arrivare dalla revisione della Politica di Coesione che andrà effettuata nei prossimi mesi. Un percorso che, ha ricordato la premier, va ovviamente definito con la Commissione europea, seguendo le linee guida annunciate la scorsa settimana dal vicepresidente Raffaele Fitto che proprio ieri, rispondendo ai cronisti, ha confermato come la riprogrammazione dei fondi Coesione possa essere impiegata dagli Stati anche per mettere in campo misure di sollievo rispetto ai dazi, dal momento che tra le cinque linee previste vi è anche la "competitività". In tale contesto, tra i programmi della Coesione che sarebbero finiti nel mirino ci sarebbero il “PN Giovani, donne e lavoro” da 5,1 miliardi di euro che a fine 2024 presentava tassi di avanzamento pressoché nulli, con impegni fermi al 22,7% e una spesa pari allo zero. Negli uffici, però, si starebbe parlando anche del “PN Ricerca e competitività” (PN RIC) da 5,3 miliardi, dove la situazione - a fine 2024 - risulta un po' migliore, con impegni al 30,5% e pagamenti al 7,4%.

Infine, ci sono i 7 miliardi del Fondo sociale per il clima, lo strumento europeo per gli investimenti in immobili e trasporti green e per contrastare la povertà energetica. In questo caso la leadership della misura è affidata al Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE) che, entro fine giugno, dovrà inviare Bruxelles il Piano sociale per il clima per l'impiego di queste risorse nel nostro Paese.

Si tratta, in buona sostanza, delle proposte avanzate anche da Confindustria che, per bocca del presidente Emanuele Orsini, ha infatti chiesto al governo di “attingere ai fondi non utilizzati del PNRR e ai fondi di Coesione per incentivare le imprese colpite dai dazi americani”.

Le ipotesi sul tavolo, secondo il governo, non dovrebbero incidere sui saldi di finanza pubblica. L'obiettivo della premier, infatti, sarebbe di negoziare con Bruxelles “un regime transitorio sugli aiuti di Stato” che, unito alla possibilità di ottenere “una maggiore flessibilità nella revisione del PNRR, nell'utilizzo dei fondi di Coesione e nella definizione del Piano sociale per il clima” possa permettere di usare risorse attualmente disponibili “che non hanno un impatto sulla finanza pubblica”, avrebbe spiegato Meloni alle imprese.

Dazi, Green deal sotto attacco

Per le imprese, ma anche secondo il governo italiano, la partita sulle misure da mettere in campo per sostenere l'economia europea davanti ai dazi americani dovrebbe passare, però, anche per una revisione profonda del Green deal.

L’ultimo a dirlo a chiare lettere è stato proprio Urso che ha parlato della “necessità, oggi più che mai, di una nuova politica industriale europea che non soffochi le imprese e non depauperi il lavoro europeo. Per questo chiederemo all’Europa di inserire da subito nel nuovo pacchetto Omnibus una moratoria regolatoria su direttive e regolamenti in fase di attuazione come già ottenuto con la Direttiva sulla deforestazione”.

Ma non solo. Urso ha infatti spiegato che l’Italia intende chiedere anche “immediate misure di semplificazione sburocratizzazione, sospendendo anche le norme che soffocano le imprese e le regole folli del Green Deal che hanno portato al collasso l’industria dell’auto europea, peraltro la più penalizzata dai dazi americani. Chiediamo l’immediata revisione del CBAM per tutelare siderurgia e chimica, l’introduzione del principio del ‘buy Europe’ e di una quota degli appalti pubblici europei riservata all’industria che producono nel nostro Continente”.

Si tratta di posizioni che, come ha sottolinea lo stesso Urso, sono in linea con le richieste delle imprese, a cominciare da Confindustria. Proprio qualche giorno fa, nel parlare del pericolo “delocalizzazione” negli USA generato dai dazi, Orsini aveva infatti messo sul tavolo anche il tema burocrazia. “Ai nostri associati pesano più le difficoltà in Italia e in Europa che ci creiamo da soli: burocrazia, costo dell’energia, iper-regolamentazione”. In tale contesto, secondo Orsini “in Europa serve un po’ di sveglia. L’Unione europea pesa per il 13,4% del Pil mondiale e per il 7% delle emissioni. Intanto altre grandissime economie non si impegnano come noi e non praticano la nostra responsabilità sociale d’impresa”. Per questo la richiesta del numero uno di Confindustria a Bruxelles è di “fare un passo indietro” e di “sospendere oggi gli obiettivi verdi”.

Per continuare a leggere gli articoli inserisci la tua...
o