Politiche di coesione post 2027: verso una nuova governance tra semplificazione e orientamento ai risultati
La politica di coesione dell’Unione Europea rappresenta da oltre trent’anni il principale strumento di solidarietà e sviluppo territoriale. Con una dotazione di oltre 392 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, essa continua a svolgere un ruolo cruciale nel promuovere la convergenza tra regioni, ridurre i divari socioeconomici e rafforzare la coesione territoriale.
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Tuttavia, mentre ci si avvicina al nuovo ciclo di programmazione, è ormai evidente la necessità di riformare in profondità i meccanismi di gestione e controllo di questa politica.
Il confronto con l’esperienza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), nato in risposta alla crisi pandemica e basato su un modello completamente differente, ha acceso un dibattito cruciale: è possibile costruire un nuovo paradigma che combini il radicamento territoriale della coesione con l’efficacia operativa e l’orientamento ai risultati del PNRR?
Sul tema la Commissione ha anche di recente lanciato consultazioni pubbliche sul prossimo Quadro Finanziario Pluriennale post 2027. Da ultimo, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha tracciato, con le dichiarazioni rese nel mese di maggio 2025, una rotta chiara per il futuro della politica di coesione oltre il 2027: un ruolo centrale e potenziato all’interno del bilancio UE, ma profondamente integrato con le altre priorità strategiche e sottoposto a riforme audaci nel metodo di finanziamento e attuazione. Sarà compito delle istituzioni UE e dei governi, nei mesi successivi, tradurre questa visione in proposte legislative concrete e negoziare un accordo sul QFP post 2027 che concili le diverse esigenze.
Ciò che appare evidente è la determinazione a “muovere insieme verso un’Unione più audace, semplice e veloce”, in cui la politica di coesione rinnovata continui ad essere il pilastro dell’unità europea e dello sviluppo equilibrato di tutti i suoi territori. In attesa della presentazione delle nuove proposte regolamentari sul futuro della coesione che avvierà formalmente la discussione, siamo già nel vivo di un processo di riflessione e decisione che plasmerà le politiche europee dei prossimi decenni.
Una politica appesantita dalla complessità
Nonostante le numerose riforme attuate nel tempo, l’attuale architettura della politica di coesione continua a essere percepita come eccessivamente burocratica. La stratificazione normativa, la molteplicità degli strumenti e l’elevato numero di soggetti coinvolti (oltre 49 Programmi in Italia tra nazionali e regionali a cui si aggiungono 10 programmi di cooperazione territoriale) rendono faticosa l’attuazione, soprattutto per enti locali e soggetti pubblici e privati con minore capacità amministrativa.
Nonostante una complessità ormai cronica e diversi livelli di controllo, le verifiche su procedure e spese, spesso duplicate, non sempre riescono a prevenire errori significativi: la Corte dei conti europea ha rilevato nella spesa dei fondi strutturali un tasso di errore superiore al 2% che costituisce la soglia di rilevanza fissata dalla normativa¹, un dato comunque preoccupante. Inoltre, la corsa contro il tempo imposta dalle regole europee di disimpegno automatico (regola N+3) spesso sacrifica la qualità dei progetti sull’altare della tempistica.
¹Cfr. “Analisi 03/2024: Una panoramica del regime di affidabilità e dei fattori fondamentali che hanno contribuito agli errori nella spesa per la coesione nel periodo 2014-2020” – Corte dei conti europea – anno 2024
Il modello PNRR: centralizzato, orientato alla performance
A differenza della coesione, il PNRR si basa su un modello performance-based: le risorse vengono erogate solo al raggiungimento di milestone e target predefiniti, non sulla base delle spese sostenute. La Commissione europea valuta i risultati attraverso un processo negoziale semestrale, senza richiedere alcuna rendicontazione di spesa. Il sistema dei controlli viene poi integrato dalla specifica regolamentazione nazionale che per l’Italia ha condotto ad un sistema misto con controlli dedicati al rispetto delle condizionalità PNRR e verifiche puntuali sulle spese. Le recenti innovazioni normative introdotte con l’articolo 18-quinquies del decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113, hanno cambiato ed innovato il contesto favorendo una gestione finanziaria più accelerata, in evidente contrapposizione alle lentezze burocratiche presenti nel sistema dei Fondi strutturali.
In generale, l’approccio PNRR ha imposto un cambio di paradigma: maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni centrali, scadenze precise e, progressivamente, meno burocrazia per i beneficiari. Tuttavia, ha anche comportato, in alcuni casi, un minore coinvolgimento delle autonomie territoriali e, talvolta, un rischio di minore aderenza alle specificità territoriali. Le Regioni e gli enti locali agiscono infatti come meri esecutori, rivestendo il ruolo di Organismi Intermedi o Soggetti Attuatori di progetti.
L’esperienza PNRR lascia però un'importante eredità in tema di rafforzamento della capacità amministrativa a tutti i livelli. Con i contributi di tutte le parti interessate si sono verificate, anche in modo spontaneo, delle attività di rafforzamento sul campo, di presa di coscienza delle difficoltà operative e di ricerca ed applicazione delle soluzioni più opportune. Si può dire, senza essere smentiti, che in tema di capacity building si è fatto di più in 4 anni di PNRR che in 20 anni di politiche di coesione.
Un confronto utile per il futuro
La tabella che segue sintetizza le differenze nei diversi ambiti di analisi successivamente descritti in dettaglio.
AMBITO | FONDI STRUTTURALI EUROPEI | RRF/PNRR |
1. Modello di governance | Gestione condivisa multilivello; Accordo di Partenariato; programmi nazionali/regionali; coinvolgimento ampio (Regioni, enti locali, parti sociali) | Gestione diretta (o meglio “concorrente atipica”); governance centralizzata |
2. Meccanismo di finanziamento e condizionalità | Input-based: rimborso di spese ammissibili, controlli ex ante; condizionalità ex ante e macroeconomiche, ma meno stringenti | Performance-based: fondi erogati al raggiungimento di milestone e target; condizionalità forti e legate a riforme strutturali |
3. Tempi e flessibilità | Orizzonte quasi decennale; più tempo per pianificare; modifiche lente; flessibilità migliorata ma struttura rigida | Tempi stretti (entro 2026); pianificazione dettagliata; poca flessibilità su obiettivi, ampia su modalità di attuazione |
4. Coinvolgimento degli attori locali | Forte partenariato con attori locali e subnazionali; maggiore aderenza ai bisogni territoriali; rischi di disomogeneità e scarsa capacità (numerosi Programmi con modalità e regole attuative spesso molto differenziate) | Ruolo principalmente esecutivo per enti locali; pianificazione maggiormente centralizzata; minore personalizzazione e maggiore uniformità |
5. Controlli e audit | Controlli su spese e regolarità; audit multipli; rischio compliance overkill e approccio iperprudenziale | Controlli su milestone e risultati; meno burocrazia per i beneficiari a livello UE ma sistemi nazionali che spesso aggiungono ulteriori punti di controllo |
Il confronto tra i due modelli evidenzia in sintesi punti di forza e debolezza:
- La cohesion policy ha dalla sua la lunga prospettiva temporale, la flessibilità territoriale e la capacità di costruire competenze locali, ma soffre di lentezza e frammentazione;
- Il PNRR si distingue per rapidità, focalizzazione sugli obiettivi e spinta alle riforme, ma può mostrare alcuni limiti in termini di sostenibilità nel lungo periodo.
Il futuro della coesione dovrà prendere il meglio da entrambi i modelli: mantenere la dimensione territoriale e il partenariato multilivello, ma puntare su maggiore efficacia, semplicità e accountability.
Alcune idee per una coesione rinnovata
Per costruire una politica di coesione efficace nel post 2027, emergono alcune direttrici strategiche:
- Spostare il focus sui risultati: introdurre un sistema premiale legato al conseguimento di obiettivi, mantenendo però l’equilibrio tra performance e sostegno ai territori con minore capacità amministrativa;
- Semplificare concretamente: adottare un regolamento unico (“Single Rulebook”), ridurre la frammentazione tra fondi e programmi, rafforzare l’utilizzo delle opzioni di costo semplificato, sviluppare piattaforme digitali unificate per i beneficiari;
- Riformare i controlli: promuovere il principio dell’audit unico, evitare duplicazioni, distinguere tra frodi gravi ed errori formali, favorire l’uso di tecnologie avanzate per l’analisi del rischio e l’intelligenza artificiale nei controlli;
- Potenziare la capacità amministrativa: investire su personale, formazione, strumenti digitali. Valorizzare iniziative di scambio come un “Erasmus per funzionari della coesione”.
Un discorso a parte è il modello di governance delle politiche: accentrato e decentrato?
La discussione su questo tema è particolarmente vivace, anche alla luce dell’esperienza recente del PNRR. Tuttavia, va ricordato che nell’ambito delle politiche di coesione esistono già da tempo meccanismi che consentono un’impostazione accentrata, con pochi programmi nazionali e la delega di funzioni attuative agli enti territoriali individuati come organismi intermedi. È il caso, ad esempio, della Spagna, che ha adottato un modello accentrato con due Autorità di gestione nazionali una per il FESR ed una per il FSE+, a differenza dell’Italia, che presenta una struttura di governance fortemente decentrata, con ben 42 Autorità di gestione regionali e nazionali.
Detto ciò, un’analisi comparativa tra i due modelli evidenzia come la sola centralizzazione non costituisca di per sé garanzia di maggiore efficienza: anche nel caso spagnolo, infatti, si sono registrati ritardi attuativi e criticità gestionali. D’altro canto, un decentramento spinto, come quello italiano, rischia di amplificare le disomogeneità territoriali e generare inefficienze, soprattutto in assenza di un coordinamento centrale robusto. È però innegabile, d’altra parte, che il decentramento consenta una maggiore aderenza degli interventi ai fabbisogni locali, purché accompagnato da adeguata capacità amministrativa a livello territoriale, come si è fatto per esempio in Francia che nel tempo è passata da un modello accentrato ad uno più decentrato.
In definitiva, il dibattito tra accentramento e decentramento rischia di essere fuorviante: l’esperienza maturata negli ultimi due cicli di programmazione dimostra chiaramente che l’efficacia della politica di coesione dipende in larga misura dalla qualità del coordinamento e dalla capacità amministrativa, più che dalla configurazione del modello di governance in sé.
In quest’ottica, una direzione potrebbe essere quella di un modello multilivello equilibrato: non un sistema rigidamente accentrato, né una frammentazione anarchica, bensì un decentramento responsabile, inserito in un quadro nazionale solido. Si potrebbe dunque preservare la logica della governance condivisa, ma rafforzarla – in coerenza con le recenti modifiche normative introdotte dal cosiddetto “Decreto Coesione”² – attraverso una “cabina di regia” nazionale dotata di poteri effettivi di indirizzo e coordinamento e di un forte sostegno politico-istituzionale, al fine di assicurare coerenza strategica, integrazione degli interventi e visione unitaria. Il partenariato multilivello potrebbe così evolversi verso un vero e proprio “patto operativo” tra livelli istituzionali, orientato a risultati misurabili e responsabilità condivise, sempre a condizione che l’investimento nella capacità amministrativa, a ogni livello, rimanga costante e adeguato.
²Decreto-legge 7 maggio 2024, n. 60
Conclusioni
La riforma dei meccanismi di gestione e controllo non è solo un esercizio tecnico: è una sfida politica e istituzionale di grande portata. Una coesione rinnovata può diventare uno strumento potente per rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee, sostenere le transizioni ecologiche e digitali, affrontare le crisi demografiche e sociali.
Il 2025 sarà un anno cruciale: inizierà il negoziato sul nuovo bilancio europeo e sulle regole della coesione post-2027. È un’occasione storica per ripensare una politica che non solo spende, ma costruisce futuro affinché ogni euro investito generi cambiamento reale e visibile nei territori che più ne hanno bisogno.
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