Startup – regole piu' semplici per fare impresa negli USA
L’International Entrepreneur Rule è la proposta di legge volta a semplificare l'immigrazione di imprenditori negli Stati Uniti. Ma sul testo aleggia lo spettro delle elezioni.
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La patria delle startup si prepara ad aprire le porte agli imprenditori stranieri. In estrema sintesi, è questo l'obiettivo dell'International Entrepreneur Rule (IER), la proposta di legge depositata il 24 agosto dall’amministrazione Obama per semplificare l'ingresso di imprenditori negli Stati Uniti.
In base all'Immigration and Nationality Act - la legge del 1952 che costituisce, ancora oggi, la pietra miliare della regolamentazione della materia dell’immigrazione negli Stati Uniti – il Governo ha la possibilità di concedere l'ingresso temporaneo nel paese per "ragioni umanitarie urgenti" o "significativo beneficio pubblico". Di fatto, è come se la Casa Bianca stia ora sostenendo che gli imprenditori e gli startupper, che creano posti di lavoro negli USA e contribuiscono al prodotto interno lordo, forniscono un significativo beneficio pubblico per il Paese.
Cosa prevede l'International Entrepreneur Rule
La proposta di legge, presentata dallo United States Citizenship and Immigration Services (USCIS), aggiunge nuove disposizioni normative per la concessione di permessi temporanei di accesso e permanenza negli Stati Uniti per gli imprenditori di startup innovative.
Vista la delicatezza della materia, il dipartimento della Sicurezza Interna statunitense prevede una valutazione caso per caso delle domande presentate. Gli imprenditori dovranno dimostrare che l’impresa è stata avviata negli ultimi 3 anni e che hanno mantenuto una quota di proprietà della startup pari ad almeno il 15%. Devono inoltre dimostrare che l’azienda ha un potenziale di crescita elevato, evidenziato dall’aumento di capitale di 345mila dollari in finanziamenti da parte di un investitore americano qualificato, o dalla capacità di ricevere concessioni per almeno 100mila dollari da enti federali, statali o enti locali.
Si tratterebbe di un permesso di soggiorno temporaneo fino a 2 anni, estendibile fino a ulteriori 3 anni se gli imprenditori sono in grado di dimostrare le ricadute positive della startup in termini di pubblica utilità, vale a dire se l'impresa ha portato un sostanziale incremento in termini di investimenti, reddito o occupazione. Nello specifico, gli imprenditori, oltre a dover mantenere la propria attività negli Stati Uniti, devono conservare almeno una quota di proprietà della startup del 10%. Inoltre, devono dimostrare un aumento di capitale di 500mila dollari da parte di investitori americani, generare altrettante entrate annuali con una crescita del 20% rispetto all'anno precedente, o dimostrare di aver creato almeno 10 posti di lavoro full time nel corso dei cinque anni complessivamente trascorsi negli USA.
A quel punto, gli imprenditori che intendono restare nel Paese possono richiedere un permesso di lavoro, come la Green Card EB-2.
Nei 45 giorni successivi alla data di pubblicazione del testo, depositato il 24 agosto, chiunque ha la facoltà di commentarlo ed effettuare osservazioni.
I primi commenti
“La proposta di legge promuove quelle imprese che dimostrano un potenziale di crescita rapida in termini di business, creazione di posti di lavoro e innovazione”, dichiara Leon Rodriguez, direttore dello US Citizenship and Immigration Services (USCIS), “L'economia americana ha beneficiato a lungo dei contributi degli imprenditori immigrati, da Main Street alla Silicon Valley”.
“I migliori imprenditori da tutto il mondo devono avere la possibilità di realizzare il loro potenziale negli Stati Uniti”, dichiara Max Levchin, cofondatore di PayPal, arrivato negli Stati Uniti dall'Ucraina nel 1991.
I fautori della riforma fanno notare che circa la metà delle startup a stelle e strisce hanno almeno un cofondatore emigrato negli USA: oltre a Levchin, basti pensare a Sergey Brin (cofondatore di Google), Jerry Yang (cofondatore di Yahoo) e Steve Chen (tra i fondatori di YouTube).
La questione del visto H1B e il dopo Obama
La riforma messa in piedi dall'amministrazione Obama non risolve però un problema centrale per le imprese innovative, la concessione dell'H1B. Si tratta di una particolare tipologia di visto, di tipo lavorativo, concesso a chi sia in possesso di un titolo accademico e di un'offerta di lavoro da parte di un'azienda americana.
Il numero di ingressi annuali è però limitato: ogni anno, i servizi dell'immigrazione mettono a disposizione solo 65mila visti H1B. Per avere un'idea di quanto sia elevata la richiesta di questa tipologia di Green Card, basti pensare che all'inizio di aprile di quest'anno il numero di richieste ha superato il tetto dei 65mila. Richieste provenienti soprattutto da aziende della Silicon Valley e destinate all'assunzione di informatici stranieri. Lo stesso Mark Zuckerberg si è messo a capo di una lobby per cercare di ottenere dal Governo americano un numero maggiore di permessi di lavoro, almeno per questo particolare settore.
A pesare sulla riforma è poi la corsa contro il tempo: l'intenzione della Casa Bianca è quella di vedere la proposta di legge applicata prima che Obama lasci il suo incarico. Se così non fosse, il testo avrebbe dinanzi un futuro ambiguo.
Alla luce delle posizioni tutt'altro che morbide di Donald Trump sul tema immigrazione, è facile immaginare una netta stroncatura del testo in caso di vittoria del candidato repubblicano. Quanto alla concessione dei visti H1B, la posizione di Trump non è del tutto chiara: se ad ottobre dello scorso anno, come riportato dal Washington Post, il candidato repubblicano si era detto favorevole all'uso dei visti di questo tipo per evitare una “fuga di cervelli” formatisi nelle più prestigiose università a stelle e strisce, successivamente si è detto contrario all'H1B.
D'altro canto Hillary Clinton, ha promesso che, se eletta, andrà anche oltre la proposta di legge: il suo piano è di “allegare” le Green Card a chiunque consegua una laurea, un master o un dottorato di ricerca in materie scientifiche (STEM). L'ostacolo che si pone alla candidata democratica è rappresentato dal Congresso, già nel 2013 diviso sulla proposta Obama sull'immigrazione.
Italia Startup Visa: le richieste maggiori da Russia e USA
In un certo senso (seppur con le dovute differenze), l'Italia ha preceduto gli Stati Uniti in fatto di concessione di visti a imprenditori stranieri, con il lancio - più di due anni fa – del programma Italia Startup Visa.
> Destinazione Italia DL 145-2013: al via il progetto Italia Start up Visa
Si tratta di un visto “speciale” destinato a cittadini stranieri extra-Ue che intendono avviare sul territorio italiano una startup innovativa e che dispongono di risorse non inferiori a 50mila euro, provenienti da fondi di venture capital o altri investitori, da portali per la raccolta di capitali (crowdfunding), da finanziamenti rilasciati da enti governativi o non-governativi italiani o stranieri o da una combinazione delle diverse fonti.
In base ai dati forniti dal Ministero dello Sviluppo economico, aggiornati al secondo quadrimestre del 2016, al programma si sono candidate in tutto 132 persone. Di queste, 94 (il 71,2%) hanno avuto esito positivo, con il rilascio del nulla osta per la concessione del visto startup. 33 (il 25%) hanno avuto esito negativo; ulteriori 5 sono ancora in sospeso, in attesa che i candidati trasmettano ulteriore documentazione richiesta dal comitato tecnico Italia Startup Visa&Hub.
18 candidature sono state ricevute nel 2014, 44 nel 2015, e ben 70 nei primi 8 mesi del 2016: 33 nel primo quadrimestre dell’anno, 37 nel secondo. E il programma sembra attrarre startupper provenienti soprattutto da Russia (30 candidature) e Stati Uniti (18). Altri paesi a doppia cifra sono Cina, Pakistan e Ucraina, ognuno con 14 candidature.
> Il testo dell'International Entrepreneur Rule
Photo credit: jpmatth via Foter.com / CC BY-NC-ND
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