Rapporto Svimez 2025: il PNRR spinge il Sud, ma non frena l'emorragia di giovani
Sin dal titolo, “Freedom to move, right to stay”, il rapporto Svimez 2025 denuncia l'emergenza sociale che la spinta propulsiva del PNRR non basta ad arrestare: il Sud cresce, e aumenta anche l'occupazione, ma non quella di qualità che potrebbe invertire la tendenza all'esodo che sta svuotando il Mezzogiorno.
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La cartina di tornasole di questa contraddizione, che vede convivere crescita del Pil e dell’occupazione e fuga dei cervelli, è il dato sul lavoro povero riportato dal rapporto Svimez 2025: un milione e duecentomila lavoratori meridionali, la metà dei lavoratori poveri italiani, è sotto la soglia della dignità.
Tra il 2021 e il 2024, mentre la spinta di PNRR e investimenti pubblici rendeva possibile la creazione di quasi mezzo milione di posti di lavoro nel Mezzogiorno, 175 mila giovani, la metà dei quali laureati, hanno lasciato il Sud, in fuga da lavori poco qualificiati e mal retribuiti e in cerca di migliori opportunità professionali altrove. Ma il diritto di rimanere, richiamato nell'agenda politica dell'intera Unione dal rapporto Letta, non si concretizza anche perché altre condizioni - dallo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie ai servizi sociali e sanitari - richiedono ulteriore consolidamento affinché si dia un significativo aumento della qualità della vita al Sud.
Non a caso il rapporto Svimez individua quattro leve su cui agire. La prima è il potenziamento delle infrastrutture sociali e dei servizi, andando oltre quanto avviato con il PNRR, basti pensare agli investimenti negli asili nido. Un tema strettamente legato alla seconda leva, quella relativa alla partecipazione femminile, superando la marginalità che ancora resiste nel mercato del lavoro, nel sistema della ricerca e nella sfera politica e decisionale. Più in generale, per uscire dalla “trappola del capitale umano”, occorre rafforzare i settori che possono generare una domanda di lavoro qualificata e - ultima leva - investire maggiormente sul sistema universitario come infrastruttura di innovazione.
Il PNRR spinge la crescita del Sud
Passando ai dati, la fotografia della Svimez restituisce un Sud che cresce più del Nord, con un aumento del Pil dell’8,5% tra 2021 e 2024, a fronte del +5,8% del Centro-Nord, grazie ad una minore esposizione dell’industria meridionale agli shock globali, all'impatto degli incentivi sul settore dell’edilizia, allo stimolo del PNRR e della chiusura della programmazione 2014-2020 della Politica di Coesione.
Questo trend ha interessato non solo costruzioni, turismo e servizi, ma anche l’industria (manifatturiero, estrattivo, utilities), cresciuta nello stesso periodo del 5,7% nel Mezzogiorno, mentre si contraeva del 2,8% nel Centro-Nord.
L'effetto espansivo del PNRR, valutabile nel biennio 2023-2024 in circa 0,9 punti di Pil nel Centro-Nord e 1,1 punti nel Mezzogiorno, proseguirà secondo le stime Svimez con una crescita dello 0,5% nel 2025, dello 0,7% nel 2026 e dello 0,8% nel 2027 a livello nazionale, con performance di nuovo migliori al Sud: +0,7% nel 2026 e +0,9% nel 2027 è infatti la previsione per il Mezzogiorno, contro +0,5% e +0,6% del Centro-Nord.
Aumenta l'occupazione giovanile, ma l'esodo non si ferma
Di questo quadro positivo fa parte anche il dato sull'occupazione, cresciuta al Sud dell'8% tra il 2021 e il 2024, contribuendo per oltre un terzo ai nuovi occupati a livello nazionale: su un milione e quattrocentomila nuovi occupati, circa 900 mila si devono al Centro-Nord e quasi 500 mila al Mezzogiorno.
Di questo trend hanno beneficiato anche gli occupati under 36, cresciuti nel triennio 2021-2024 di 461mila unità a livello nazionale, di cui 100mila nel Sud. Il problema è che, a fronte di 100 mila giovani neo occupati nelle Regioni del Mezzogiorno, 175mila giovani hanno lasciato il Sud per il Nord e l’estero. Ne conseguono una perdita di capitale umano, spesso altamente formato, la dispersione dell'investimento pubblico in formazione, ma anche il fatto che alla fine questi giovani laureati vanno ad alimentare crescita e innovazione altrove.
Per chi resta, il quadro è quello di una contrazione del potere d'acquisto dei salari reali, un aumento del fenomeno dell'in-work poverty, che nel 2024 ha raggiunto il 19,4% nel Mezzogiorno, quasi tre volte il valore del Centro-Nord (6,9%). Su 2,4 milioni di lavoratori poveri in tutta Italia, si legge nel rapporto, 1,2 milioni sono al Sud. Una vulnerabilità economica che rende ancora più acuta, soprattutto nelle città metropolitane, l'emergenza abitativa, con oltre 650mila famiglie in attesa di un alloggio.
Il dopo PNRR e i rischi dell'autonomia differenziata
Dal rapporto emerge un chiaro richiamo a consolidare il percorso avviato con il PNRR, puntando sull'attivazione di filiere produttive ad alta intensità di conoscenza, sul rafforzamento della base industriale più innovativa, sull'integrazione tra formazione superiore, ricerca e politiche industriali, ma anche continuando a lavorare sull'offerta di servizi, a cominciare da quelli educativi per l’infanzia e per la scuola, essenziali anche in ottica di partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Dall'altra parte, c'è preoccupazione per le pre-intese sull’autonomia differenziata, “che rischiano di aumentare le disuguaglianze, sottraendo risorse e competenze condivise e frammentando i diritti di cittadinanza”, andando in direzione opposta a quanto realizzato con il PNRR. “Così, una riforma nata per ricucire il Paese si sovrappone a un’altra che può accentuarne le fratture”, è l'avvertimento della Svimez.
Quale contributo da Politica di Coesione e ZES Unica
Tra i fattori che possono contribuire a uno sviluppo virtuoso dell'esperienza avviata con il PNRR, il rapporto individua invece la Politica di Coesione, a patto di intenderla non come un “semplice strumento redistributivo”, ma “come leva industriale territoriale”.
Un banco di prova in questo senso sarà, secondo Svimez, il modo in cui verrà gestita la revisione di medio termine del 2025, perché il focus sulle nuove priorità strategiche - difesa, sicurezza, energia e tecnologie critiche STEP - rischia di dirottare risorse su priorità non necessariamente coerenti con gli obiettivi di sviluppo delle aree meno avanzate. E di ripetere il meccanismo già sperimentato con misure orizzontali, come i crediti d’imposta per la Transizione 4.0, che “hanno favorito soprattutto le regioni già forti, lasciando al Sud appena un quinto delle risorse”, rafforzando i “divari nella capacità di innovazione, digitalizzazione e riconversione produttiva”.
Al contrario, il rapporto indica come direzione di politica industriale l’inclusione delle aree periferiche nelle filiere strategiche e negli ecosistemi industriali continentali, attraverso “un aggiornamento coraggioso delle regole sugli aiuti di Stato a finalità regionale, che consenta di incentivare in modo selettivo investimenti e localizzazioni industriali nelle aree meno sviluppate”.
In questo senso è fondamentale la via intrapresa con la nascita della Zes Unica che, secondo i primi dati riportati nel rapporto, inizia a macinare risultati: “i tempi autorizzativi si sono dimezzati (da 98 a 54 giorni) e tra marzo 2024 e novembre 2025 sono state rilasciate 865 autorizzazioni, per oltre 3,7 miliardi di investimenti. Il passaggio cruciale sarà per l’aggiornamento del Piano strategico nel 2026: per Svimez, “la Zes Unica potrà diventare un laboratorio di integrazione tra coesione e politica industriale, incrociando filiere europee strategiche – dalla difesa all’energia, dalle tecnologie critiche agli ecosistemi produttivi emergenti. Ma l’efficacia della misura dipenderà dalla capacità di indirizzare gli incentivi verso filiere coerenti con l’agenda politica industriale europea e con le potenzialità dei territori meridionali”.
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